E poi ci si chiede perchè si chiamano classici... Lucrezio scriveva:
Se gli uomini, come si vede che sentono di avere in fondo all'animo un peso che con la sua gravezza li affatica,potessero anche conoscere da che cause ciò provenga e perché una sì grande mole, per così dire, di male nel petto persista,non così passerebbero la vita, come ora per lo più li vediamo:ognuno non sa quel che si voglia e cerca sempre di mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso. Esce spesso fuori del grande palazzo colui che lo stare in casa ha tediato, e sùbito ‹ritorna›,giacché sente che fuori non si sta per niente meglio. Corre alla villa, sferzando i puledri, precipitosamente, come se si affrettasse a recar soccorso alla casa in fiamme; sbadiglia immediatamente, appena ha toccato la soglia della villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l'oblio, o anche parte in fretta e furia per la città e torna a vederla. Così ciascuno fugge sé stesso, ma, a quel suo 'io', naturalmente, come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato, e lo odia, perché è malato e non comprende la causa del male; se la scorgesse bene, ciascuno, lasciata ormai ogni altra cosa, mirerebbe prima di tutto a conoscere la natura delle cose, giacché è in questione non la condizione di un'ora sola, ma quella del tempo senza fine, in cui i mortali devono aspettarsi che si trovi tutta l'età, qualunque essa sia, che resta dopo la morte. (Dal De Rerum Natura)
il male di vivere degli uomini è uguale fin dalla notte dei tempi, a quanto pare. Non avremo fatto il liceo classico per nulla, no?
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